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licenziamento di una lavoratrice madre

 

La legge stabilisce l’assoluto divieto di licenziamento di una lavoratrice madre per il periodo che va dall’inizio della gravidanza al compimento di un anno di età del figlio.

Il divieto è valido anche nel caso in cui, al momento del licenziamento, il datore di lavoro non fosse a conoscenza dello stato di gravidanza della lavoratrice madre.

Il datore di lavoro, per tutto questo periodo, non può procedere alla sospensione della lavoratrice madre dal lavoro, esclusi i casi di sospensione totale dell’attività dell’azienda o del reparto di riferimento della lavoratrice stessa.

L’unico caso in cui è possibile collocare una lavoratrice madre in mobilità è quello di cessazione dell’attività dell’azienda, mentre non può succedere in caso di licenziamento collettivo, dal quale la lavoratrice madre è comunque esclusa.

 

Licenziamento lavoratrice madre: i casi in cui è permesso

 
Ci sono però alcuni casi, previsti dalla normativa in vigore, in cui è possibile il licenziamento di una lavoratrice madre.

Se assunta a tempo determinato, per esempio, la lavoratrice può essere licenziata alla scadenza contrattuale naturale, oppure in caso di esito negativo di un periodo di prova in azienda.

In ogni caso è possibile il licenziamento di una lavoratrice madre per giusta causa, ovvero laddove vengano meno il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente, a seguito di inadempimenti e gravi mancanze da parte del dipendente stesso.

Il licenziamento è poi previsto in caso di cessazione completa delle attività dell’azienda in cui la lavoratrice madre è impiegata.

 

Licenziamento lavoratrice madre: cosa succede quando è illegittimo

 
Il licenziamento intimato nel periodo di maternità, al di fuori dei casi già citati, è da considerarsi sempre e comunque nullo.

In questo caso dunque la lavoratrice ha diritto alle tutele previste dalla legge, in particolare:

  • i primi tre commi dell’art. 18 della legge 300/1970, come modificati dalla legge 92/2012, se è stata assunta prima del 7 marzo 2015, data dell’attuazione del decreto stesso;
  • l’articolo 2 del decreto legislativo 23/2015 (decreto attuativo del cd. Jobs act, contenente la disciplina del contratto a tutele crescenti), se l’assunzione è avvenuta dopo il 7 marzo 2015.

Tali norme stabiliscono che la donna lavoratrice, licenziata nel periodo di maternità o in conseguenza del matrimonio abbia diritto alla piena reintegrazione nel posto di lavoro.

In caso di licenziamento illegittimo di una lavoratrice madre, quindi essa ha diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro e al versamento da parte del datore di lavoro di tutti i contributi previdenziali e assistenziali per il periodo che va dalla comunicazione di licenziamento all’avvenuta reintegrazione nel posto di lavoro.

Il datore di lavoro è poi tenuto al pagamento di un risarcimento economico alla lavoratrice madre licenziata in maniera illegittima.

Tale importo non può essere inferiore alle 5 mensilità di retribuzione percepite.

In caso di licenziamento illegittimo di una lavoratrice madre, la dipendente può esercitare il diritto di opzione e quindi scegliere tra la reintegrazione sul posto di lavoro o l’indennità sostitutiva spettante dal datore di lavoro e pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto.

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